Grillo puntando il dito contro l’art.67 della Costituzione ha destato la mia curiosità.
Quanti italiani hanno letto almeno una volta la nostra Costituzione?
Qualche mese fa Benigni ce l’ha ricordata e vi invito a leggerla ma, sappiate bene che se, come me, non avete un minimo di conoscenza giuridica, vi troverete di fronte il documento di più difficile interpretazione.
Veniamo al punto, cosa dice l’art.67?
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Cercare di capire cosa significano esattamente queste 17 parole e soprattutto, perché furono inserite nella Costituzione, non è facile e mi piacerebbe che in questo duro compito qualche giurista e qualche costituzionalista ci potesse venire incontro, noi comuni mortali, aiutandoci a comprendere meglio.
Quando l’ho letto, la prima cosa che mi è venuta in mente, è stata che l’autore voleva far si che i parlamentari fossero liberi da qualsiasi vincolo per fare ciò che gli pare, non mi sarei meravigliato che fosse stato scritto da un politico negli ultimi 20 anni, invece il testo è quello originale, scritto nel 1947.
Il Costituzionalista Francesco Clementi in un articolo di Emilia Patta pubblicato sul Sole 24Ore, ci ricorda che solo le Costituzioni di Portogallo, Panama, Bangladesh ed India, prevedono il vincolo di mandato.
Cosa vuol dire esattamente l’art.67?
Vorrei evitare di addentrarmi in dettami giuridici e storici, due materie da mal di testa, per cui cerco di semplificare al massimo per rendere l’idea.
Intanto dice due cose:
1 - ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione
2 - esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato
“Il rappresentante deve tutelare gli interessi del rappresentato secondo le direttive e con le modalità da quest’ultimo fissate: questa forma di rappresentanza, applicata alla sfera pubblica, si ritrovava nelle Assemblee medievali, dove solitamente l’incarico conferito al rappresentante è revocabile ed oneroso; esso, inoltre, reca le indicazioni cui questi deve attenersi nelle deliberazioni, mentre eventuali questioni impreviste non possono essere discusse senza che il mandatario faccia ritorno ai propri baliaggi per consultarsi con il mandante e riceverne vincolanti prescrizioni.”
Ciò che i padri costituenti valutarono, fu che il Parlamento doveva essere l’assemblea deliberante di una nazione, con il solo interesse dell’intera nazione e dove la guida non doveva essere dettata dagli interessi locali, ma dal bene comune; possiamo pensare che l’interesse di una cerchia ristretta di elettori, o di un partito potrebbe non coincidere con l’interesse dell’intera nazione.
“La discussione assembleare trovava sovente ostacolo proprio nel difetto di legittimazione del rappresentante rispetto al ordine del giorno, con conseguente sospensione dei lavori in attesa di un nuovo atto d’integrazione dei poteri da parte dell’entità rappresentata. In tal modo, l’interesse superiore al compiuto e snello funzionamento dell’assemblea parlamentare veniva svilito proprio in ragione del policentrismo e del polimorfismo delle esigenze locali in essa rappresentate.
La richiesta di pieni poteri, non era dunque funzionale alla tutela di esigenze superiori ed aliene rispetto a quelle delle entità rappresentate; piuttosto, essa si poneva quale condizione necessaria al regolare funzionamento dell’Assemblea, a prescindere dal contenuto delle decisioni in concreto assunte.”
Il vincolo di mandato, limiterebbe l’azione dei Parlamentari ad un lavoro di semplici funzionari, dovendo, di volta in volta, tornare dal proprio mandatario per essere legittimato a rappresentarlo nelle varie discussioni.
La rappresentanza politica quindi si fonda sulla scelta elettiva dei rappresentanti; la scelta poggia sul mandato parlamentare, pur se non vincolante.
L’elezione garantisce quindi la risposta degli eletti rispetto agli elettori e la scadenza della carica elettiva rende effettivo il controllo e la sanzione politica, pur in assenza di vincoli di mandato.
Quindi la condizione in cui, un eletto rappresenta la nazione, quindi il bene comune, e non è vincolato da alcun mandato, è quella migliore in quanto libera il parlamento da qualsiasi vincolo e condizionamento, purché l’elettore possa esercitare il diritto di scelta, usando le elezioni quale premo o sanzione nei confronti dell’eletto.
A questo punto, il problema dei facili cambi di casacca non lo dobbiamo ricercare in una “debolezza” dell’art.67 della Costituzione, ma in una pessima legge elettorale, che di fatto lo aggira, permettendo ai dirigenti delle segreterie di partito di controllare i deputati ed i senatori tramite la minaccia della non rielezione e, di conseguenza, violando la Costituzione, vincola e condiziona il parlamentare nelle sue decisioni politiche e, toglie ai cittadini il diritto di scelta.
Oggi i dirigenti di partito nominano i candidati membri del Parlamento e ne stabiliscono l'ordine cronologico di presentazione degli stessi, proponendo agli elettori una lista bloccata, senza diritto di preferenza, con nascosti tra loro mafiosi, corrotti ed incompetenti e, se poi dopo eletti si mettono in vendita al partito miglio offerente, la volta successiva li ritroviamo eletti, perché guardiamo solo il leader e non il letame di cui si circonda.
Dove si deve intervenire è nella legge elettorale, nella mancanza di regolamentazione dei partiti, nel rispetto dell'art.49 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" e sugli italiani, interessiamoci di più, un partito non è solo il suo leader ed usiamo il voto per premiare o sanzionare.
"Della Camera [...] si dice che abbia “carattere rappresentativo della Nazione tutta, nella sua unità”, ma i membri della Camera sono nominati dal governo o dai partiti, sicché si modifica strutturalmente il presupposto del rapporto rappresentativo – l’atto di investitura nella carica – e, conseguentemente, l’essenza stessa della rappresentanza." questo si riferisce alla Camera dei Fasci (fascismo).
riferimento:
IL DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO DA PREROGATIVA REGIA A GARANZIA DELLA SOVRANITÀ ASSEMBLEARE